domenica 27 settembre 2015

Svuotarsi

La rubrica “Riflettendo“ affronta una vasta gamma di argomenti.
Nasce con il semplice scopo di offrire degli spunti di riflessione.


-Mi ricordo che quando ero più piccola mia madre veniva a darmi sempre il bacio della buona notte, poi un giorno ha smesso. Non so in quale momento è successo eppure dev'esserci una data precisa, un giorno x, da quel punto in poi niente più bacio della buona notte e la cosa strana è che io non me ne sono nemmeno accorta, il giorno prima avevo il mio bel bacio della buona notte quello dopo più niente. Forse la vita è un insieme di giorni x, quello in cui tua madre smette di darti il bacio della buona notte, quello dove perdi le chiavi di casa, quello in cui muore qualcuno al quale dovevi dire ancora tante cose, e quello in cui smetti di mangiare. Noi non ci accorgiamo di questi momenti, eppure ogni volta perdiamo qualcosa.-

dal film “MalediMiele” di M. Pozzi 

Alcune persone vengono indotte da un’oscura tentazione a farsi del male, in quanto non riescono ad accettarsi, e di conseguenza a vivere un malessere. Chi soffre di bulimia sente il bisogno di riempirsi a dismisura- non ponendosi limiti- per poi svuotarsi e rendere ancora più profondo quel vuoto interno iniziale fatto di incertezze e paure.
Sentirsi accettati è l’obiettivo, ma si finisce per compiere tutto ciò che non contribuisce affatto ad esserlo.


Abbiamo ascoltato la storia di chi convive con tutto questo, per cercare di capire cosa si prova a non sentirsi mai abbastanza apprezzati, soprattutto da se stessi.


Raccontami della tua esperienza. L’hai vissuta come un semplice disturbo, un malessere o una condizione dalla quale venirne fuori assolutamente?

Non credo di essere stata malata. Più che altro il mio è stato un disturbo psicologico, forse più un malessere. Da un lato mi sembrava fosse auto-distruzione, dall'altro era una liberazione nei momenti più difficili.
Ogni volta che mi capitava di cadere in tentazione, mi sentivo meglio, sentivo di essermi tolta un peso; essermi liberata di un disagio, uno sbaglio, un altro pensiero, un'altra ansia che in quel momento mi tormentava.
E poi provavo un grande sollievo perché mangiavo tutto quello che mi piaceva, ma avevo trovato un metodo per non assimilarlo.


Come si manifestava? Principalmente cosa ti portava ad assumere determinati comportamenti?


Nel momento in cui mangiavo ero felice. Mangiavo e mangiavo senza pensare alle conseguenze. Poi improvvisamente era come se la mia mente si bloccasse, e iniziavo a sentirmi in colpa. Sentivo di aver sbagliato, di aver tradito i miei ideali, e il mio corpo. Mi sentivo gonfia, grossa. Mi guardavo allo specchio e vedevo una palla, una cosa enorme. E cominciavo a toccarmi i fianchi, le gambe, la pancia. Si innescava un meccanismo nella mia testa assurdo! Non riuscivo a pensare ad altro, e improvvisamente partiva una fitta allo stomaco atroce, iniziavano ad asciugarsi le labbra, e automaticamente- senza fare troppi sforzi- solo bevendo tanta acqua, andavo subito in bagno; o trovavo una scusa per uscire e allontanarmi dagli altri. Avevo anche il mio metodo. Iniziavo col mettere due dita sulla lingua, poi sfioravo leggermente la gola senza fare troppi sforzi, e rimettevo tutto quello che avevo mangiato. Poi correvo a pesarmi, e solo allora mi sentivo meglio. Sapere di non aver messo nulla significava non tradirmi, non tradire il mio corpo, ed era l’unica cosa che contava. In quel momento riuscivo a dar pace al mio corpo e alla mia testa. 

Come hai scoperto di essere bulimica? Hai avvertito il bisogno di andare da un medico? O c’è stato qualcuno che ti ha aiutato? Che ti ha fatto accorgere che c’era qualcosa che non andava.

Leggendo parecchi articoli su Google mi sono resa conto di avere gli stessi sintomi di una persona bulimica. Il mio era diventato un bisogno giornaliero, una cosa che ti viene spontanea. Co
me fa una persona normale quando al mattino si sveglia e si prepara un caffè. Faceva parte della mia routine ormai. Non potevo farne a meno. 
Le cose iniziarono a peggiorare quando pur non mangiando lo facevo. Delle volte mi sentivo gonfia anche solo dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua, o assaggiato qualcosa di leggero. Alcune volte anche dopo non aver mangiato nulla!


C’è qualcosa che ti faceva stare meglio? Qualcosa a cui pensavi per non desiderare di farti del male?

Non c'è qualcosa in particolare a cui pensi perché è come se in quel momento la testa diventi un burrone nero dal quale non riesci ad uscire. Alla fine non stai a far male a nessuno tranne che a te stesso! La mia unica felicità era sapere di non aver assimilato nulla, di aver mangiato tutto quello che desideravo senza aver preso peso. Lo so che è una cosa stupida perché esistono tanti rimedi, ma sono errori che si commettono e nessuno può- in quel preciso istante- aiutarti perché vai in un'altra dimensione, non sei più tu. Ti comanda solo l'istinto, e il mio mi diceva di farlo per star meglio!
Gli unici momenti in cui non pensavo a questo era quando riuscivo a star completamente serena. Come se non avessi il tempo di pensarci. Ma quando capita, non si è più se stessi. E’ un

meccanismo che non ti fa ragionare.


Sostanzialmente cosa provavi? Ad esempio quando avvertivi il bisogno di svuotarti, cosa ti passava per la testa?


In sostanza, quando accade ti viene un senso di colpa immenso. Sentivo di aver tradito le mie aspettative, tutto quello che avevo deciso di fare; cioè di rispettare il mio corpo, i miei ideali e i miei obiettivi. Automaticamente stavo male perché non ero stata in grado di rispettare e di mantenere sano il mio organismo! Mi sentivo sporca come quando si fa del male a qualcuno.
Iniziavo a sudare, a guardarmi, mi innervosivo, e pensavo solo al fatto che dovessi trovare un luogo sicuro dove poter star tranquilla, e dove potermi svuotare. Il mio unico pensiero era quello di sentirmi più sgonfia, e di non sentirmi più in colpa per quello che avevo combinato.


C’è stato un momento in cui sei riuscita a capire che avevi toccato il fondo? Che dovevi fare qualcosa prima che non potessi più tornare indietro?

Più di un anno fa diventai anoressica, ma per fortuna ne uscii subito. Arrivai a portare la 25-26, e non mangiavo proprio più. Inoltre continuavo a rimettere nonostante vivessi solo di aria. Poi c’è stato un evento che mi ha salvato la vita. Mi ha ridato la lucidità, la voglia di rialzarmi e la forza per continuare a lottare.



Eri consapevole del fatto che ti stessi facendo male? Sapevi che il tuo comportamento non giovava alla tua salute? Ora cosa ti viene in mente, qual è la tua opinione pensando a quei momenti?

Raggiungevo questa consapevolezza, dopo che lo facevo, dopo essermi fatta del male. Sapevo di sbagliare, ma prima che accadesse era come se il mio cervello si spegnesse. Era una cosa più grande di me. Alla fine, mi faceva star meglio e mi faceva sentire soddisfatta. Credevo che assumendo questa tecnica, e questo atteggiamento sarei riuscita a mantenere sempre la stessa linea. Non avevo questa voce! Prima era più candida. A furia di rimettere mi sono distrutta stomaco, gola e corde vocali. Insomma, ho fatto un po' di macelli. Se si vuole raggiungere dei risultati bisogna essere prima di tutto padroni di se stessi, mangiar sano e fare sport.

Adesso come stai? Ti capita ancora di ricaderci?


Non ne sono uscita completamente. Raramente mi capita di ricaderci. Non credo che possa andar via completamente dalla mia vita, e dalla mia mente. Mi capita perché continuo ancora a vedermi imperfetta. Quando mi vedo allo specchio, vedo un insieme di difetti, un qualcosa che fondamentalmente non mi piace al 100%. Ho sempre vissuto con questo disagio.
Ma adesso evito, resisto sempre. Riesco a ragionare prima di farlo.
Quando non ce la faccio, mi sento una stupida, una nullità, una cretina incapace di crescere e di maturare sotto questo punto di vista. Perché i risultati per migliorare il nostro corpo e il nostro organismo si possono benissimo ottenere senza farci del male! Oggi penso realmente di sbagliare quando mi capita di farlo. Riesco a vedermi bella, e sono più sicura di me.
Alla fine, nessuno è perfetto- ho il coraggio di ripetermi. Quando mi vien voglia di farlo ora, ho la consapevolezza e la forza di guardarmi allo specchio e di parlarmi. Mi domando:  vale la pena? Domani farai un po' di attività fisica ed eviterai di mangiar schifezze! Poi mi dico: sei una bella persona, una bella ragazza! Perché devi farti del male? A cosa serve? Ti fa star meglio?? No! Ti distrugge solo lo stomaco e la gola!



Con maturità e impegno riesci a salvarti! Io da sola- e a piccoli passi- ne sto uscendo vincitrice. Mi inizio a piacere anche se non sono perfetta, ma voglio star bene e penso che non serve uccidersi per esser quel che si vuole. Dopo quasi nove anni che convivo con questo disagio, posso finalmente dire di aver raggiunto una maturità tale da poter capire che determinate azioni non fanno bene. E anche se sono ancora debole, ho imparato che nella vita se non sbagli non impari, e io non credo a quella gente che nella vita dice di non aver mai sbagliato. Per me non esistono. Perché per essere delle persone vere, bisogna portarsi sulle spalle tanti errori. Con il tempo ti fanno diventare una persona splendida.
Io ho sempre sbagliato, ma posso dire di aver vissuto in maniera unica ogni piccola e grande cosa che mi è capitata. Ho toccato il vero fondo, ma mi sono sempre rialzata da sola e sempre più forte di prima! Perché sbagliare serve, e credimi quando ti dico che mi amo, nonostante tutto.


Credi che sia importante avere qualcuno vicino che possa supportarti e dimostrarti che c’è e ci sarà nel momento del bisogno? Che le terapie e il supporto di un professionista possano aiutarti ad uscirne?

Credo che avere qualcuno accanto in questo disagio sia fondamentale! Basti pensare che ti tiene la mente occupata, ti cambia le giornate, ti rende felice e rendendoti serena, diventa automaticamente un supporto morale. Con un sorriso, e senza fare nulla di così eclatante, ti cambia la giornata.
Mi è capitato di essere felice accanto a qualcuno, e quando lo sono stata non pensavo minimamente al mio disagio.
Ma ripeto a dire che non sei tu a dirigere il gioco, ma la se la mente decide di liberare il corpo, lo fai dimenticando chi in quel momento ti sta supportando e ti è vicino.
La presenza di qualcuno può farti superare certe cose, può aiutarti, ma da questi disagi non se ne esce così facilmente. Sicuramente una persona vicina rende la cosa più semplice, ma la battaglia la si vince principalmente da soli.

Ad esempio, c’è stata mia madre che ha cercato di aiutarmi. Ma pur essendo controllata, mi è capitato di farlo di nascosto. Poi sono stata in cura, ho fatto una corretta alimentazione e ho raggiunto risultati splendidi. Adesso sto imparando da sola a controllarmi, a non esagerare e a uscirne pian piano fuori. Devo cercare di stare realmente serena e felice, così ché questa cosa riesco ad accantonarla. Anche se in realtà oggi non riesco ancora a diventare quello che voglio, e so che non è importante, ma è un pensiero fisso, un traguardo, un qualcosa che devo raggiungere. La mia paura più grande è quella di ingrassare, come lo sono stata un tempo.



Cosa consigli a chi si trova nella condizione in cui ti sei trovata tu?

Non sono in grado di dare dei consigli. L'unica cosa che posso dire è di non nascondersi, di non vergognarsi di quel che si è, di sentirsi sempre sicuri di se stessi, e di farsi aiutare da qualcuno. Di non allontanare la famiglia- e la gente che ci ama- da questo "problema", di esser sereni, di amarsi e di liberare la mente da questi pensieri. Alla fine la perfezione non esiste. Quindi credo basti darsi una regolata e cercare di essere felici.
Chi vive quello che è il mio stesso disagio deve cercare di allontanare le voci cattive (tipo la società, gente che ci dice che non andiamo bene per qualcosa), di amarsi e piacersi, per poi migliorare da soli.
Alla fine non si vive per piacere agli altri, ma solo a se stessi.

Grazie per aver condiviso la tua esperienza!
Grazie a te!










domenica 23 agosto 2015

La tua assenza


La rubrica "Ritratti" nasce dall'incontro delle parole e del disegno per rappresentare qualcosa di apparentemente astratto.

In questo articolo…

“La tua assenza”


E’ seduta qui di fianco, o forse di fronte. Oppure è dietro di me. La si percepisce, ma non la si vede. Indossa un vestito trasparente, abbinato a della personalità fluttuante tra quello che è stata e quello che sarebbe potuta essere. Mi parla, ma non riesco a sentirla. Forse non ascolto, forse non so ascoltare. Poi si alza, ma io non lo so. Lo immagino. Forse è ancora seduta, forse non lo è stata mai. Si muove dolcemente tra i labirinti della mia mente, ma è facile perdersi nelle proprie paure. E’ come se avessi cercato per tutta la vita la chiave della porta per uscirne, per poi scoprire che era aperta già da un pezzo. Provo a chiudere gli occhi, ma il risultato non cambia. Evidentemente non basta chiuderli, per poi aprirli, per poter vedere. Non bastano a prescindere. Qui non basta nulla. Mi affaccio alla finestra, non c’è nulla di più bello della notte. Tutto tace, tutto è in un assurdo silenzio. Qualche rumore inopportuno prova a infrangere quel suo segreto. Ma lei è brava a nascondersi. 


Adesso è uscita dalla stanza, oppure si è buttata dalla finestra. No; non gliel’avrei permesso. Ho messo giù la zanzariera. Lo so, non è infallibile. Ma mi piace pensare che l’unica vera utilità di 
quell'aggeggio grigliato e sottile, sia quella di non far uscire i pensieri più belli che abbiamo in mente. Quelli nascosti dietro ai cespugli, quelli timidi che non escono fin quando non decidi di prenderli. -Giochiamo a nascondino?- Le chiedo. Che stupido. Avrebbe vita facile no? Perderei sempre. Ma poi ci sono abituato a perdere. E un po’, in fondo, mi piace. Non è fare la vittima, ma crogiolarsi in quel che non si è.


Grido: dove sei? Su, metti su il caffè! Dannato caffè. E’ sempre nella mia testa. Ma mi aiuta a svegliare i sentimenti. Dal momento in cui mi alzo, decido di volermi svegliare, ma non ce la faccio. Ho bisogno del caffè. Ho bisogno di qualcuno che mi svegli. Che mi dica: su alzati. Poi puoi dormire, ma adesso alzati. Ho voglia di te. Ho bisogno di te. Poi penso: è messo male se qualcuno ha bisogno di me. Ma evidentemente a qualcosa servo. Magari il mio esempio (negativo, a quanto pare) serve a ricordare quanto di meglio c’è al mondo.



Prendo un po’ di libri, i miei preferiti. Li metto sul pavimento. Li sfoglio. Leggo qualcosa distrattamente. Faccio finta di capire qualcosa. La cerco tra quelle pagine. Ma non è nemmeno lì. La compagnia della tua assenza non è molto piacevole. Non mi fa cenno. Si presenta, ma non saluta. Ti chiama, e poi svanisce. Sarà andata in bagno, o a buttare la spazzatura. Mi spoglio, ma ho freddo. Lei non mi riscalda. Forse non le interesso. Allora perché è qui? Cosa vuole? Non ha nulla di meglio da fare? Magari è in più posti contemporaneamente. Magari è tutto nella mia testa. E se così fosse? Questo non cambierebbe le cose. Comunque c’è. Non si può far finta che non ci sia. Da dove proviene, da cosa è scaturita non ha molta rilevanza.

Provo a rubarle qualcosa. Metto la sua canzone preferita. Sta ballando, la sta canticchiando, ma niente. Non si palesa. Eppure so che è qui con me. Magari mi sta addosso. Mi sta baciando. Mi sta toccando. Forse sono un semplice egoista. Voglio trattenerla e invece dovrebbe andar via. Dovrebbe dimenticarsi di me. Oppure anche lei vuole rimanere, ma non sa come fare. Dovrei chiedere aiuto. Ma per cosa?
Vado da uno specialista.

-Scusi, non riesco a stare con la sua assenza.-
-Da quanto non ci riesce?-
-Da quado mi ha permesso di sfiorarla-
-Mmm… allora mi parli di sua madre? Com'è il suo rapporto con lei?-
-Ma cosa sta dicendo? Cosa c’entra mia madre adesso?-
-Me l’ha detto lei. Dice che lei la mette sempre in mezzo-
-Ma chi le ha detto questo?-
-La sua assenza!-
-Ma mi prende in giro-
-E’ li con lei… Non la vede?-

Scrivo una lettera senza inchiostro. Tanto non ha bisogno di leggere. Probabilmente mi legge nel pensiero. Allora meglio non sprecare nemmeno la carta. Ma qualcosa devo pur fare per convincermi di stare facendo qualcosa. Perdo tempo mentre ne accumulo altro, recitava una canzone di qualcuno a me caro. Poi decido che è meglio gridare. Magari la sua assenza non mi sente, ma qualcun altro a lei molto vicino si. Magari sono malato davvero. Ma non voglio curarmi. Ho deciso di non cercare di rimettermi in sesto. Poi prendo fiato e urlo: dove sei?
Qui nulla si è mosso. Non è accaduto nulla e non accadrà. Magari da qualche parte qualcosa è stato. Qualcosa è successo. Ma come con la sua assenza, non mi è dato di vedere.



mercoledì 22 luglio 2015

Sbronza Mnemonica

La rubrica “Storie di Straordinaria Quotidianità“ contiene racconti inventati ispirati alla gente comune e alla vita di tutti i giorni.

Studi recenti hanno affermato che assumere una copiosa quantità di alcool rende difficoltoso il lavoro della zona del cervello che si occupa di immagazzinare i ricordi.
Quindi è possibile che, dopo una serata passata a sbronzarci, non si possa ricordare cosa si è fatto, ed avere come ultimo ricordo quello di aver alzato un po’ troppo il gomito.
Nulla di cui preoccuparsi. Ma possono insorgere dei problemi se ti ritrovi con una persona apparentemente sconosciuta, in un posto a te estraneo e senza avere la minima idea di come tu abbia fatto a ritrovarti in quella situazione. 

“Sbronza Mnemonica”


Quando mi alzai avevo un mal di testa incredibile, i capelli scompigliati e l’odore di sigaretta che mi intossicava i sensi.

La prima cosa che vidi era questa ragazza seduta sul bordo della finestra con indosso solo le mutande. 
La visione del suo seno accelerò il mio processo di risveglio. A fumare era lei. Si accorse del fatto che mi fossi svegliato. Fece un ultimo tiro alla sua Marlboro e scese dal bordo.


<<Che cazzo fai? Volevi buttarti giù?>> esordii mentre cercavo i miei vestiti tra un cuscino e l’altro.

<<Guarda idiota che la finestra affaccia sulla scala antincendio. Secondo te rischio di cadere sedendomi sul bordo di una finestra senza nulla sotto? Per chi mi hai presa? Non ho mica manie suicide io!>>
Era proprio una bella ragazza e date le circostanze mi sembrava corretto pensare che fossi andato a letto con lei. Ma non ricordavo molto della sera precedente.
Quello che mi rimane nella mia testa sgangherata è che mi trovavo in un locale piuttosto affollato, quando una tipa mi sbatte contro, per poi chiedermi una sigaretta. Io le dissi che non le avevo e lei cominciò ad inveirmi contro. Poi mi ritrovai nel suo letto. Spero sia stata una bella nottata- pensai. Peccato che non ricordi molto. Anzi a dire il vero non ricordo un bel niente.

Scesi dal letto e subito glielo domandai <<Beh… si insomma… abbiamo fatto sesso vero?>>

<<Assolutamente no! Ci siamo conosciuti ieri sera e francamente non ho una bella opinione di te visto com’eri conciato>>
<<Vorresti dirmi che non l’abbiamo fatto? Cioè scusami… abbiamo condiviso lo stesso letto, siamo entrambi rimasti in mutande, e vorresti dirmi che non l’abbiamo fatto, ma che soprattutto io non ci abbia provato? 
Non ti credo. E’ impossibile>>
<<Allora adesso ti dai una calmata. Eri ubriaco fradicio. Mi facevi pena. Si dia il caso che ieri sera al locale i tuoi amici e le tue amichette del cazzo se la svignarono. Eri sul marciapiede fuori al freddo e non ti reggevi in piedi. Io abito a pochi metri e ho ben pensato, e adesso credo sia stata una pessima idea, di farti stare da me per la notte, visto che eri proprio in una condizione a dir poco pietosa. Dovresti ringraziarmi!>><<Beh si, ma è assurdo! Ricordo di aver bevuto tanto, ma non avevi voglia di farlo? Mi hai portato da te e si insomma comunque sono senza vestiti e tu anche>>.

A quel punto con un gesto di stizza si rimise il reggiseno e cominciò a vestirsi.

<<Va bene ora? La finisci di dire che sono senza vestiti o non hai mai visto un paio di tette?>>
<<Certo che le ho viste. Scusami, ma questa situazione ha dello straordinario. 
Vorresti dirmi che non abbiamo fatto proprio nulla? Non mi hai fatto nemmeno… si insomma: ci siamo capiti no?>> mentre le parlavo imitai un rapporto orale.
<<Ancora? No… assolutamente no. Nulla di nulla. Nemmeno quello! Perché avrei dovuto? Non lo faccio mica con il primo che mi capita a tiro. Soprattutto il sesso orale per me è importante. E lo pratico solo con chi penso possa meritarlo>> poi continuo marcando quel suo tono fastidioso 
<<Ti ho portato qui. Ti sei levato a fatica i vestiti, sei rimasto in mutande e sei crollato sul letto. Non una parola, non un ringraziamento. Niente. Fine della storia>>

<<Ah bene! Peccato! Mi sarebbe piaciuto farlo con te!>>

<<Ma se non ti reggevi in piedi. A mio avviso non ti si sarebbe rizzato neanche>>
Poi continuò con aria scocciata 
<<Mettila su questo piano: hai evitato di fare una magra figura. Per fortuna sono una tipa tollerante!>>
<<Beh adesso potremmo rimediare… >>
<<Guarda non ne ho proprio voglia! Ieri sera ho perso anche un anello a cui sono molto affezionata. 
Sai… un regalo di mia madre>>
<<Mmh…ricordi quando l’hai notato l’ultima volta? Quando l’avevi ancora al dito?
<<Si, ero al pub a chiedere da bere. Il barista si è complimentato per l’eleganza della mia mano. 
Cazzate! Voleva semplicemente provarci e non trovava un modo più intelligente per farlo>>
<<Bisognerebbe cercarlo lì. Ma prima facciamo sesso! Ho una voglia matta di farlo con te>>.


A quel punto lei si avvicinò con fare accattivante e prendendomi le mani se le porto al suo seno. Mentre mi lasciai trasportare dalla goliardia della situazione mi sussurrò porgendo il labbro vicino l’orecchio 

<<Trovami l’anello e sarò tua!>>
A quel punto lei si divincolò e pensai che non dovesse essere difficile ritrovarle l’anello. Sarebbe bastato andare al locale e chiedere un po’ in giro. Non avevo nulla da perdere. 
<<Ritroverò ciò che è tuo. Ma non dovrai tirarti indietro!>>
Poi lei si accese un’altra sigaretta e andò ad occupare il suo posto, lì sulla finestra. 
Infine mi disse
<<Stai tranquillo. Ti aspetto qui!>>.


Quella mattina faceva molto caldo. Io ero conciato in maniera troppo elegante. I miei abiti disturbavano un’ambientazione casual di un venerdì mattina di una città qualsiasi.

Raggiunsi in fretta il locale che aveva l’ingresso principale sbarrato, ma quello sul retro semichiuso.
Erano a pulire e a preparare il tutto per la notte. Entrai senza esitazioni. Una dello staff che stava sistemando i tavoli mi rivolse la parola <<Sei quello nuovo? Vai nello spogliatoio a cambiarti. Qui c’è da lavorare! Sei in un ritardo spaventoso! Per fortuna il titolare non è ancora arrivato.>>
<<Ehm no… in realtà sono qui per salutare il barista!>> risposi timidamente.
<<Non ci credo! Un altro! Ma vi piace così tanto?>> proseguì lei. 
Io feci un cenno del capo, ma non era di assenso. Anche se è quello che probabilmente lei percepì. Mi avviai verso il bancone e continuavo a pensare alla strana risposta che quella dello staff mi aveva profilato, e al commento eccentrico alludendo al barista. 

Quest’ultimo era un tipo palestrato, calvo con un orecchino stravagante all'orecchio destro. Indossava una t-shirt di taglia più stretta della sua e dei jeans alla moda. Era a pulire i bicchieri tra le altre cose e sfoggiava un sorriso sgargiante.
<<Ciao bello! Posso fare qualcosa per te?>> esordì lui.
<<Ehm si… cioè in realtà non so come dire…>>
<<Porca miseria! Non ti ho lasciato il numero. Mi devi scusare! Spero che tu sia stato bene ieri con me!>> rispose istintivamente lui.
Cominciai a capire il malinteso e adesso le parole della sua collega assumevano un senso.
A quel punto mi affrettai a spiegare la situazione e cosa ci facessi lì, senza esitazioni
<<Ehm no… Guarda: chiariamoci. Non siamo stati insieme. Sono qui perché ieri sera una mia amica ha perso un anello e l’ultima volta che si ricorda di averlo notato era proprio qui seduta al banco a parlare con te. Stando a quanto dice lei, avevi fatto un apprezzamento sulla sua mano>>
<<Non ricordo di aver parlato con una ragazza dicendo queste cose. Ma voglio cercare di aiutarti. Dimmi di questo anello. Com’è fatto?>>
<<Beh… in realtà non saprei. Credevo che bastasse sapere cosa fosse successo o che comunque mi avresti saputo aiutare a prescindere>>
<<Mmm… c’è qualcosa che posso fare per te. Forse posso aiutarti. Seguimi!>>.


Presi a seguirlo senza esitazioni. Ma indubbiamente, c’erano una serie di dettagli che avevo trascurato. Ero a cercare un anello, quindi un oggetto minuscolo, in un grande locale al centro della città, dopo una notte burrascosa e senza avere la più pallida idea di come fosse fatto. Non avevo nulla dalla mia, ma per come si stavano mettendo le cose, avevo buone speranze di riuscire nel mio intento.

<<Di qua>> mi fece segno il ragazzone palestrato addetto al bar. 
Entrai in uno stanzino dove c’erano tutte le divise dello staff e vari armadietti.
<<Allora dolcezza… adesso ci divertiamo un po’>> esordì lui mettendomi le mani addosso cominciando dal petto, abbracciandomi da dietro.
A quel punto mi divincolai e nervosamente cominciai ad alzare la voce <<Ma che diavolo stai facendo? Ti sei impazzito? Sai dove questo anello o no?>>
<<Calma amico. Lasciati andare un po’. Dopo cerchiamo questo anello. Se ti agiti ti vengono le rughe e rovini quel tuo bel visino>>

Non potevo crederci. Quel tizio stava cercando di rimorchiarmi. Ad un tratto la mia mente divenne più lucida e mentre guardavo il barista che mi rivolgeva sorrisi da ebete e cercava di adularmi, mi resi conto che tutto quello che stessi facendo era un enorme stronzata. Le probabilità che io trovassi quell'anello erano quasi pari a zero. Se fosse stato perso davvero in quel locale, c’era un’alta probabilità che qualcun altro se ne fosse impossessato. E inoltre una delle certezze è che quell’energumeno così vivace ne sapesse ben poco. Decisi di mandare al diavolo tutto.
<<Levati dai coglioni!>> con fare adirato mi rivolsi al barista e senza dare importanza al commento sardonico su quello che avessi fatto nello spogliatoio della sua collega incrociata prima, imboccai la strada per uscire da quel locale di matti.


Abbandonai l’ipotesi di portarmi a letto la tipa che mi aveva “gentilmente” ospitato, ma quantomeno era doveroso passare a salutarla. Anche perché le avevo lasciato alcune cose. 

Salii e lei era solo in mutande con il suo fare da diva a fumare, ma questa volta appoggiata allo schienale del letto. Di sicuro ci sapeva fare e la sua carica erotica mi travolgeva senza poter far nulla. Aveva un bel seno e non perdeva occasione per metterlo in mostra e far uscire il vil maschio presente dentro di me.
<<Allora? Il mio bellissimo anello?>> esordì lei con fare gioioso quasi sorridendo.
<<Niente. Non l’ho trovato e come se non bastasse ho dovuto assorbirmi il barista che ci ha provato sfacciatamente! Prendo le mie cose e vado via!>>.


A quel punto lei cominciò a ridere a crepapelle. Spense la sigaretta e si avvicinò continuando a ridere. Quasi singhiozzava.
<<Voi maschi siete proprio degli inetti! Fareste di tutto per una scopata. Persino trovare un anello mai esistito, che non è mai stato perso, in un locale sperduto!>>

Mentre parlava continuava a ridere sguaiatamente. Pareva si stesse soffocando. Io persi le parole. Non sapevo cosa dire; mi aveva soggiogato alla grande. Non solo mi aveva convinto a fare qualcosa per lei, ma quella cosa non era nemmeno attuabile.
<<Scommetto che sapevi anche che il barista fosse gay!>>
<<Ah no. Quello no. Non sono così calcolatrice! Certo: avresti potuto concederti visto che c’eri! Da quel che ricordo mi sembrava un bel tipo. Ma sei sicuro che hai cercato bene? Magari l’anello ce l’aveva lui. Avresti dovuto cercare più a fondo! Sembrava propenso a darti una mano>> continuò lei tra una risata e l’altra. La situazione stava diventando insopportabile. Cominciavo a sentirmi umiliato. 



Presi le mie ultime cose lasciate sul comodino. Mi accesi una sigaretta (una delle sue) e mi apprestai ad uscire. Lei calmatasi, smise di ridere e tornò per un attimo seria <<Hey bello! C’è dell’altro!>> mi disse attendendosi una risposta. Aprii la porta per uscire, ma mi girai verso di lei lasciandomi andare ad un breve cenno come per dire <<Sarebbe…?>>

<<Beh… in realtà ieri abbiamo scopato. Ma stamattina quando me l’hai chiesto, dandomi prova che non ricordavi nulla, ho pensato bene di divertirmi un po’ inventandomi la storia dell’anello, approfittando del tuo ingente desiderio di portarmi a letto!>> continuò lei <<A volte mi sembra che non ragionate. Cosa pensi ti abbia portato a fare da me? Per scaldarmi il letto soltanto? Pensi che faccia opere di carità salvandoti dalla strada mentre i tuoi amici sono via e sei ubriaco perso? Delle volte la gente crede che qualcuno possa fare qualcosa per loro senza nulla in cambio. Solo per bontà. Per assurda generosità che uno sconosciuto debba avere nei nostri confronti; come se fosse un’abilità innata che noi essere umani dobbiamo avere. Ma non è così. Qui ognuno mette davanti il proprio ego. Ognuno pensa prima a se stesso. Quando qualcuno fa qualcosa per gli altri, la fa per se stesso. Raramente accade il contrario!>> terminò il suo monologo.


Mi soffermai un momento. Pensai che, seppur in parte, avesse detto qualcosa di intelligente e che il suo sofisma fosse concreto, quanto brutale. Aveva ragione per me, ma l’umiliazione che mi aveva inflitto poc’anzi mi impediva di elaborare un’ opinione lucida e quantomeno una risposta. Mi lasciai andare ad un lungo sospiro. Poi uscii dalla porta e percorsi di fretta le scale. Uscito dal portone sentì gridare dall’alto <<Idiota! Idiota sono qui!>> era lei che sbraitava dalla sua finestra. Ebbene si: l’idiota a cui si riferiva ero io. Presi ad urlare anch’io rivolgendomi a lei <<Cosa c’è?!?! Ho dimenticato qualcosa?>> e lei sempre urlando <<No! Volevo dirti solo che ieri notte te l’ho anche fatto!>> 

<<Cosa?>> risposi incuriosito io. 
<<Eh… Buonanotte!>> mi rispose chiudendo la finestra e buttando giù un mozzicone di sigaretta che probabilmente mi distrasse, tanto da non farmi capire a cosa stesse alludendo.


Ma più tardi, pur forzandomi, non lo capii comunque. 

Giurai a me stesso che non avrei più bevuto così tanto per potere evitare certe figure in futuro.
La settimana dopo, puntualmente, non mantenni la promessa.
Ma per fortuna mi ritrovai nel letto di casa.



Della rubrica "Storie di Straordinaria quotidianità" leggi anche:






Storia di un eroe di cui nessuno parlerà